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Smettetela di dire alle donne che soffrono della sindrome dell’impostore

Smettetela di dire alle donne che soffrono della sindrome dell’impostore

Smettetela di dire alle donne che soffrono della sindrome dell’impostore: riflessioni sull’articolo di Ruchika Tulshyan e Jodi-Ann Burey

A Febbraio 2021, l’Harvard Business Review pubblica l’articolo di Ruchika Tulshyan e Jodi-Ann Burey intitolato: “Smettetela di dire alle donne che soffrono della sindrome dell’impostore”. Un po’ di contesto:

Le psicologhe Pauline Rose Clance e Suzanne Imes hanno sviluppato il concetto, originariamente chiamato “fenomeno dell’impostore”, in uno studio del 1978, incentrato su donne di notevole successo lavorativo. Hanno ipotizzato che

“nonostante gli eccezionali risultati accademici e professionali, le donne che sperimentano il fenomeno dell’impostore persistono nel credere di non essere davvero brillanti e di aver ingannato chiunque la pensi diversamente”.

Le loro scoperte hanno stimolato decenni di formazione sulla leadership, programmi e iniziative per affrontare la sindrome dell’impostore nelle donne.

Secondo Tulshyan e Burey

“L’impatto del razzismo sistemico, del classismo, della xenofobia e di altri pregiudizi era categoricamente assente dalla concettualizzazione della sindrome dell’impostore. Molti gruppi sono stati esclusi dallo studio, vale a dire donne nere e persone con diversi livelli di reddito, genere e background professionale.
Anche per come la conosciamo oggi, la sindrome dell’impostore dà la colpa agli individui, senza tenere conto dei contesti storici e culturali che sono fondamentali per come si manifesta sia nelle donne nere che nelle donne bianche.

La sindrome dell’impostore orienta il nostro punto di vista verso cercare di aggiustare le donne al lavoro invece di aggiustare i luoghi in cui le donne lavorano.

Altri punti importanti sollevati dalle autrici:

  1. Fenomeno è diventato sindrome, un termine medicalizzante che ricorda le fantasiose “diagnosi” che nel corso della storia si proponevano di spiegare la presunta inferiorità delle donne.
  2. Confidence ≠ competence: avere fiducia in sé stessə non implica necessariamente avere competenze o capacità di leadership, e avere di dubbi o farsi delle domande non ci rende per forza dellə impostorə.
  3. I pregiudizi e le politiche di esclusione favoriscono da un lato crescenti dubbi sulle proprie capacità, dall’altro una pressione all’eccellenza che lascia le persone esauste e costrette a fare i conti con le conseguenze di uno stress così alto.

Le spiacevolissime sensazioni che proviamo quando viviamo una situazione che abbiamo imparato a definire come sindrome dell’impostore sono reali. Tulshyan e Burey ci invitano, però, a non fermarci a quello ma a domandarci in che modo la cultura e la società in cui viviamo ci portano a incolpare noi stessə per problemi sistemici.

Fonti e approfondimenti:

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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