Domani, 1 Maggio, in quasi tutto il mondo è la festa dei lavoratori e delle lavoratrici. Eppure nel complesso mondo del lavoro odierno ad alcuni ed alcune di noi potrebbe venire il dubbio se sia ancora il caso di festeggiare.
Precariato. Persone oltre i 40 anni che non riescono a ricollocarsi. Età pensionabile che si alza sempre di più. Giovani che vengono inseriti con contratti da fame. Donne che vengono ancora discriminate. Lavoratori e lavoratrici che sempre di più stanno lontani/e dalla famiglia anche nei giorni di festa.
Il 1 Maggio di 5, 10, 15 anni fa non esiste più. E non solo perché nessuno di noi è Marty McFly e non ha una Delorian, ma perché il mercato del lavoro è cambiato, e se vogliamo guardare al futuro non solo sopravvivendo dobbiamo cambiare mentalità.
Seguendo in percorsi di politica attiva persone che sono disoccupate e che stanno cercando una nuova collocazione, è evidente che l’identikit del/la disoccupato/a è enormemente cambiato rispetto a quello di qualche anno fa. Me ne ero già accorta quando io stessa, durante la mia vecchia vita da dipendente di multinazionale, avevo passato esperienze come cassa integrazione, licenziamenti collettivi e mobilità (che è la cosa migliore che mi sia mai capitata nella mia vita personale e lavorativa, ma questa è un’altra storia).
Mi capita di fare consulenza a laureati poco più che trentenni, giovani madri con un curriculum invidiabile la cui unica colpa è quella di aver scelto la maternità, 50enni che non si raccapezzano più in un mondo che richiede di essere al passo con la tecnologia senza formarli in maniera adeguata. 40enni che hanno sempre svolto un lavoro e ai quali ora vengono richieste mille attestazioni per svolgere lo stesso identico lavoro che sono 20 anni che portano avanti con professionalità. Oppure 20enni praticamente nativi digitali a cui se chiedi di utilizzare un paio di funzionalità intermedie di Excel ti guardano come se ti fosse appena cresciuta una seconda testa.
E non comincio nemmeno ad elencare tutte le problematiche legate alle discriminazioni di genere, razziali o di orientamento sessuale.
Come sempre, noi italiani e italiane ci preoccupiamo di rattoppare i problemi che sono già successi, e non riusciamo a lavorare in prevenzione e a prepararci, per quanto possibile, a quello che verrà.
Non è il 1 Maggio di quando io sono entrata nel mondo del lavoro, e meno che meno è il 1 maggio dei miei genitori. Il lavoro c’è, solo che è diverso, e solo perché è sconosciuto e meno certo e tracciato non vuole dire che non ci sia motivo per festeggiare.
Con questo non voglio minimizzare la situazione molto difficile in cui si trovano molte/troppe persone, ma non possiamo continuare ad educare le nuove generazioni unicamente ad avere sfiducia nel proprio futuro lavorativo.
Ogni anno incontro circa una centinaio di studenti delle scuole superiori con i quali parliamo di come prepararsi ad entrare nel mondo del lavoro. La maggior parte di loro non sa nulla né su come preparare il proprio curriculum, né dove proporsi o cercare o un lavoro, né tanto meno come funzionano i colloqui di lavoro. Però sanno ripetere perfettamente frasi come “tanto in Italia non c’è lavoro”.
Insomma, è come non sapere nulla su come si guida un’automobile e dire “Eh ma tanto prima o poi mi schianterò”. Seriamente, qualcuno/a di noi avrebbe mai preso la patente con un atteggiamento del genere? E se lo avesse fatto in che modo si sarebbe approcciato ad imparare a guidare?
La strada è accidentata, per tutti e per tutte, non c’è laurea, diploma, percorso formativo che al momento ci metta al riparo dalle difficoltà di ottenere e mantenere un lavoro. Ma questo significa anche che tutti e tutte siamo nella stessa barca e, se vogliamo, possiamo trovare ancora la voglia di festeggiare.