Chiedo immediatamente perdono agli appassionati della lingua italiana: incolpatore e incolpatrice non esistono, in effetti, e sembrano creature uscite da un libro di Harry Potter, ma non ho trovato altro modo per tradurre la parole inglese “blamer“.
L’ispirazione per questo questo blog post viene ancora una volta da Brené Brown, americana, docente di Servizi Sociali all’Università di Houston, ricercatrice e soprattutto storyteller. Avevamo parlato di lei anche in un altro post, quello sulla vulnerabilità.
Il punto è questo, quanti di noi (forse la maggioranza?) appena capita qualcosa di brutto o semplicemente indesiderabile vogliono immediatamente sapere di chi è la colpa?
Pensiamo, per esempio, ai terribili casi di cronaca a cui assistiamo negli ultimi anni. Fatti orribili in cui perdono la vita persone come noi che stavano semplicemente andando al lavoro o godendosi un concerto. Ancor prima di renderci conto di cosa è successo, di concederci il tempo di provare dolore, orrore per ciò che è accaduto, vogliamo sapere chi è stato. E poi partono violente invettive sul social e al bar sulle colpe e su cosa bisogna fare.
Ma non c’è bisogno di scomodare questi odiosi fatti cronaca per esaminare questo fenomeno. Basta pensare per esempio a cosa succede quando troviamo la stampante senza carta in ufficio. In un nanosecondo parte la domanda tuonante “CHI è STATO?“. E poi magari quando siamo ritornati al nostro pc, parte pure l’email indirizzata a tutto lo staff con toni passivo-aggressivi sull’importanza di ricaricare la carta sulla stampante … e blablabla.
Ma perché ci viene così automatico assegnare la colpa a qualcuno? Magari pure a noi stessi? E’ semplice:
Ed ecco che entra in gioco l’interessantissima ricerca condotta da Brené. Ciò che ha rilevato è che “dare la colpa a qualcuno o qualcosa” è semplicemente un modo per scaricare disagio e sofferenza. E la cosa più interessante è che
Secondo Brené, infatti, assumersi/assegnare responsabilità è un processo che include la vulnerabilità, la nostra. Significa che, invece, di sbottare contro qualcuno, cerchiamo il dialogo: parliamo non urliamo. Implica dover ammettere ad un’altra persona che qualcosa che hanno detto, o fatto, ci ha causato sofferenza.
Nella sua ricerca, Brené ha riscontrato che le persone che preferiscono dare la colpa, non hanno generalmente la tenacia e la serenità mentale necessarie per impostare una conversazione sulla tematica della responsabilità. Perché spendono tutte le loro energie nel buttare fuori violentemente la propria rabbia e nel cercare un colpevole.
Direi che è abbastanza ovvio il passaggio successivo della ricerca della Brown: e cioè che
Perché quando vestiamo gli abiti degli incolpatori e delle incolpatrici non ascoltiamo. Stiamo concentrati su noi stessi, cerchiamo di trovare un colpevole e non ci soffermiamo, invece, a cercare di comprendere perché siamo così arrabbiati e cosa potremmo fare perché non ricapiti di nuovo.
E questo vale sia per quando diamo la colpa agli altri, ma anche e soprattutto quando siamo incolpatori e incolpatrici di noi stessi. Se ci diamo solo colpe, invece che assumerci delle responsabilità, finiamo in un vortice di rabbia e vergogna da cui è davvero difficile uscire.