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Non dovremmo sentirci in colpa quando ci piace qualcosa

Non dovremmo sentirci in colpa quando ci piace qualcosa

Colpa e piacere sono spesso legate nella nostra cultura: e se non fosse più così?

Guilty Pleasure è un termine inglese che indica un film, una serie tv o una canzone che ci piace, ma avendo magari la fama di essere un prodotto commerciale o poco intellettuale, ci si vergogna di ammetterlo e, se lo si fa, si sminuisce la cosa facendo questa piccola ammissione di colpa.

Lo scorso weekend stavo ascoltando la prima puntata del podcast Le 16 Candeline  ideato e condotto da Eugenia Fattori e Francesca Anelli, e ho cominciato ad  applaudire dalla mia cucina con il mocio in mano quando hanno espresso l’idea che dovremmo smettere di parlare di Guilty Pleasure perché ciò che ci piace non dovrebbe farci sentire in colpa.

E mi sono tornate in mente tante situazioni in terapia (ma anche tante nella vita privata) in cui questo meccanismo che lega, in maniera apparentemente automatica, il piacere alla colpa ci crea tantissimi problemi.

La colpa ha a che fare con l’idea di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma, fatte salve questioni universali legate al danno che possiamo fare ad un’altra persona, quel qualcosa di sbagliato non è una regola che esiste a prescindere ma è il risultato di norme sociali, culturali e spesso anche famigliari. Per qualcuno la piacevolezza colpevole potrebbe essere un pomeriggio di pausa dallo studio o dal lavoro, una fetta di torta, una coccola, di qualsiasi tipo, che ci fa stare tanto bene ma che, in qualche modo, pensiamo che non dovremmo concederci.

Ma perché? Chi l’ha deciso? E se, invece, riscrivessimo le regole in modo che il piacere sia solo piacevole?

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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