Interno giorno. Studio medico. Io che mostro il referto che conferma che ho la tiroidite di Hashimoto (diagnosi che mi sono andata a cercare da sola, ma è un’altra storia). Dall’altra parte “eh … le malattie autoimmuni vengono a chi non si ama abbastanza”.
Quel* medic* non mi ha più vista.
Fa parte di quella narrazione disfunzionale del benessere secondo la quale, se non si sta bene, la responsabilità (leggi colpa) è nostra, perché rifiutiamo di amarci, come se non ci fosse una quantità spropositata di fattori che si combinano e danno origine a quadri clinici diversi. Come se l’amore fosse semplice. Come se l’amore fosse la stessa cosa per tutt*. Come se l’esperienza di essere amat* fosse resa facilmente alla portata di tutt*.
Provare a volerci bene è inutile, quindi? No. Certo che è importante. Ma non è la panacea di tutti i mali. E soprattutto, non è detto che sia un obbiettivo percorribile sempre, e per tutt*. Io direi che prima di pretendere che 7 miliardi di persone si amino, come unica strategia per la risoluzione dei nostri problemi, ci sono altri punti più urgenti a cui fare attenzione.
Forse se smettessimo di comunicare sempre e comunque facendo paragoni, classifiche, gerarchie. Se provassimo ad affrontare il tabù che benessere e malessere sono due facce della stessa medaglia e che nessun* di noi viene al mondo per rimanerci per sempre.
Forse se cominciassimo a parlare di diritti. Diritto di prendere spazio, di usare la propria voce. Di diritto al rispetto, al lavoro, alla salute, alle pari opportunità. Diritto al gioco, al divertimento, a sbagliare. Tanto per cominciare.