Un vecchio adagio diceva: “sbagliando si impara”. Una frase forse un po’ scontata, che avremo sentito ripetere molte volte, e ascoltato senza troppo impegno. Ma ripensandoci un attimo, nel mondo odierno spesso l’enfasi è incentrata sul successo, sul “fare bene al primo colpo”, su non sbagliare mai. Certo gli errori hanno delle conseguenze, ma tra il commettere qualcosa di irreparabile e fare sempre tutto perfettamente bene c’è un universo di esperienze.
Il mondo in cui viviamo è complesso, e nel corso delle nostre vite impariamo a conoscerlo e ad interagire con esso. Ma riusciamo a farlo mettendo a confronto gli elementi che incontriamo e classificandoli per somiglianza e contrasto. Per esempio, siamo in grado di dare un nome e di immaginarci qualcosa di caldo perché abbiamo potuto fare esperienza di qualcosa di freddo, o ancora distinguiamo la luce dal buio perché li abbiamo vissuti entrambi. Allo stesso modo, non possiamo sapere come imparare a fare qualcosa di nuovo se ad un certo punto non abbiamo sbagliato a farlo.
Ci ricordiamo più o meno tutti come abbiamo imparato ad andare in bicicletta: cadendo e capendo in quale assetti la bici sarebbe stata in equilibrio e quali mosse, invece, ci avrebbero fatto entrare in rotta di collisione dolorosa con l’asfalto. Questo processo è considerato assolutamente normale e forse l’unico per imparare ad andare in bicicletta. L’errore ci aiuta a capire come correggere la nostra rotta e fare qualcosa di diverso la prossima volta. Ci fa fare esperienza e ci aiuta ad evolverci e progredire nel nostro percorso.
Eppure sia in ambiti aziendali che nella vita di tutti giorni, spesso l’errore è considerato un costo, qualcosa da evitare, qualcosa di cui vergognarsi. Il processo di formazione e apprendimento diventa fonte di preoccupazione e timori, ci si sente frustrati e inadeguati se non si riesce a fare bene tutto e subito, e forse si perde poco a poco l’entusiasmo e lo slancio verso l’imparare qualcosa di nuovo.
Ma gli allenamenti e le prove servono proprio a questo scopo, un po’ come le rotelline sulla bicicletta che citavo prima: un piccolo aiuto per fare pratica prima di fare sul serio. In effetti la natura su questo pianeta si è evoluta proprio grazie agli errori.
L’errore amico (o Fehlerfreundlichkeit come era stato originariamente definito in tedesco) viene introdotto nel mondo scientifico dai biologi cibernetici Ernst Ulrich e Christine von Weizsäcker. Nelle loro parole:
“l’idea di errore amico prende in considerazione sia l’idea della produzione degli errori, sia la tolleranza degli errori, e l’amichevole cooperazione tra questi due aspetti al fine di esplorare nuove opportunità”
E’ l’idea che un sistema ha bisogno di errori per evolvere. Si tratta di un delicato equilibrio tra la quantità di errori, e la potenzialità che un sistema possiede di affrontare questi errori che permette al sistema stesso di essere flessibile ad esplorare altre opzioni e, quindi, lo favorisce nella sua elaborazione ed evoluzione.
“La pedagogia enfatizza sempre il ruolo degli errori nell’apprendimento umano […] Errore amico significa che sia in situazioni pedagogiche che in quelle reali deve esserci un bilanciamento tra novità e controllo e che i rischi devono essere mantenuti ad un livello gestibile. Lasciare che un bambino si arrampichi sul divano del salotto è tollerabile. Lasciare che si arrampichi sul balcone di una finestra aperta non lo è”. (von Weizsäcker, von Weizsäcker, 1998).
Come sostenevo in un post per il blog l’Insolente Costruttivista della Società Costruttivista Italiana:
l’errore fa parte dell’esperienza, senza gli errori (e l’anticipazione che questi facciano parte del nostro percorso) non ci può essere evoluzione, si arresta il movimento e restiamo sempre uguali a noi stessi.
Avere degli errori nel proprio bagaglio di esperienze è fondamentale quando le cose prendono una piega inaspettata o si devono affrontare delle situazioni particolarmente critiche. Sbagliare di più quando possiamo permettercelo e i rischi sono controllati, ci permette di limitare gli errori quando, invece, le conseguenze possono essere gravi. Forse può essere utile guardare con un occhio un po’ più critico le cosiddette soluzioni ready-to-go e rivalutare le (metaforiche) rotelline della bici.