Credo che in più di un’occasione abbiamo parlato in questo blog di vulnerabilità. Vulnerabilità, però, intesa non come un punto debole, come suggerirebbe la parola stessa, ma come la possibilità di dismettere maschere ed armature nel rapporto con gli altri. Come possibilità di un rapporto autentico con gli altri, ma soprattutto con noi stessi, consapevoli ed accoglienti delle nostre luci e delle nostre ombre.
Semplice?
Assolutamente no! Probabilmente si tratta della ricerca di tutta una vita.
Ne sa qualcosa Brené Brown, docente di Servizi Sociali all’Università di Houston, ricercatrice e soprattutto storyteller. Brené ha dedicato gran parte della sua ricerca a capirne di più sulle persone, sul loro coraggio, su ciò che le rende felici, su ciò che ci aiuta a sentirci connessi con gli altri. Nel 2010, durante una TEDTalk, Brené ha svelato quale è stato il punto di svolta della sua ricerca: quando cioè si è trovata faccia a faccia con il sentimento della vergogna e ha cercato di capire di cosa si trattasse.
“E la vergogna é veramente percepita come la paura di disconnessione. C’è qualcosa nella mia vita che, se scoperta da altre persone, farà sì che non meriterò più il rapporto con loro? Le cose che vi posso dire su di essa sono: è universale; la proviamo tutti.
Le uniche persone che non provano vergogna non hanno capacità di immedesimarsi o di connessione.
Nessuno ne vuole parlare, e meno ne parli, più ne hai. La base su cui poggia la vergogna, è ‘Non valgo abbastanza’- un sentimento che noi tutti conosciamo: ‘Non sono abbastanza pulito. Non sono abbastanza magro. O ricco, o bello, o intelligente, o non ho avuto abbastanza promozioni.’
La base di tutto questo è una vulnerabilità lancinante, questa idea che abbiamo per cui, affinché il rapporto si crei, dobbiamo fare in modo di essere visti, visti davvero.”
Abbiamo capito tutti quello di cui sta parlando. Quante volte ci è capitato di ritirarci dalle relazioni o di entrarci in maniera disonesta perché paralizzati da questa paura di essere scoperti non meritevoli di attenzione, amicizia, amore? Brené pensava di dedicare un anno al massimo alla ricerca sulla vergogna. Di anni nei passarono, invece, sei, e collezionò e studiò pagine e pagine che raccontavano infinite storie di infinite persone.
“Ho capito cos’è la vergogna e come funziona. Ho scritto un libro, pubblicato una teoria, ma qualcosa non era ancora a posto – e cioè che se prendevo a caso le persone che avevo intervistato e le dividevo tra persone che hanno davvero un senso di dignità, di merito, perché tutto si riduce a questo, un senso di merito – hanno un forte senso di amore ed appartenenza – e persone che hanno difficoltà con questo, persone che si domandano sempre se sono all’altezza.
C’era una sola variabile che separava le persone che hanno un forte senso di amore e di appartenenza e le persone che hanno difficoltà a raggiungerlo.
E cioè, le persone che hanno un forte senso di amore e appartenenza credono di meritarsi amore ed appartenenza. Tutto qui. Credono di meritarselo”
E mano a mano che Brené va avanti nel ricercare queste persone che si sentono amate e sentono di appartenere a qualcuno, a qualcosa, ad un gruppo, fa un’altra scoperta importantissima.
“Ed ecco cosa ho scoperto. La cosa che avevano in comune era un senso di coraggio.
E voglio distinguere per voi tra coraggio ed audacia per un minuto. Coraggio (courage in inglese), la definizione originale di coraggio quando iniziò ad essere utilizzato nella lingua inglese viene dal termine latino cor, che significa cuore – e la definizione originale serviva a raccontare la storia di chi tu sei con tutto il tuo cuore.
Per cui queste persone avevano, semplicemente, il coraggio di essere imperfetti. Avevano la compassione di essere gentili con se stessi prima, e poi con il mondo, perché, come dimostrato, non possiamo essere compassionevoli con altre persone se non riusciamo a trattare bene noi stessi.
E l’ultima cosa che avevano era connessione – e qui viene la parte difficile – come conseguenza dell’autenticità, avevano la volontà di abbandonare il sé ideale per essere se stessi cosa che va assolutamente fatta per la connessione.“
Insomma, la ricerca di Brené Brown ci porta a pensare che per sentirci amati dobbiamo per prima cosa amare gentilmente noi stessi, e per poter entrare in connessione, in relazione con gli altri, non possiamo fare altre che abbandonare l’idea di come vorremmo essere per abbracciare chi siamo in questo preciso momento.
Ovviamente tutto questo non è esattamente facile, ma non è nemmeno complicato. Le persone che si aprivano alla vulnerabilità, intervistate da Brené, non la descrivevano come una cosa esattamente piacevole, ma nemmeno così terribile. Il punto è che nella nostra società tendiamo spesso a voler rendere muto tutto quello che non ci piace.
Ma siamo davvero sicuri che stiamo facendo il meglio per noi stessi? Brené pensa di no, e io sono d’accordo con lei.
“Non si possono sopprimere le emozioni in maniera selettiva. Non si può dire, questa è la roba cattiva. Ecco la vulnerabilità, il dolore, la vergogna, la paura, la delusione, non voglio provare questi sentimenti.
[…]Non si possono addormentare questi sentimenti negativi senza sopprimere gli affetti, le nostre emozioni. Non puoi selezionare cosa sopprimere.
Per cui, quando sopprimiamo questi, sopprimiamo anche la gioia, addormentiamo la gratitudine, siamo insensibili alla felicità“.
Potete leggere la trascrizione integrale del discorso di Brené Brown, da cui sono stati tratti i virgolettati di questi post a questo link, mentre qui sotto potete vedere la TEDTalk di Brené Brown intitolata “Il Potere della Vulnerabilità”. Il video è inglese, ma sottotitolato in italiano. Buona visione!