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Chi ha paura del gender cattivo

Chi ha paura del gender cattivo

La mia personale esperienza con questa “teoria del gender” e perché non smetterò mai di sostenere che non esiste.

Si è parlato tanto, anche a casaccio, di questa fantomatica teoria del “gender” nelle ultime settimane. Non ultima, la manifestazione del 20 giugno a Roma dove, durante il Family Day, si sono riunite tutte quelle persone che, al grido di “Giù le mani dai nostri figli”, volevano protestare contro tutta una serie di cose, tra cui anche le nuove linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Standard per l’Educazione Sessuale in Europa) e il DDL Fedeli [se cliccate sulle parole in azzurro potete leggere i due documenti].

I protestanti, in piazza e sul web, sostengono che ci sia un complotto internazionale celato dietro questa teoria del “gender” il cui scopo ultimo sarebbe negare che esistono i generi, portare la società verso la bisessualità e non ultimo insegnare la masturbazione ai bambini di 4 anni. Sarebbero accuse molto gravi, se non fosse che basta una facile lettura per smentirle tutte.

Per questo motivo, l’unica soluzione è l’informazione, e suggerisco le interessanti letture che trovate in fondo a questo articolo.

Ma vorrei fare un passo indietro. Potrei utilizzare questo spazio per dare una serie di argomentazioni professionali sull’argomento, che mi competono in quanto psicologa e psicoterapeuta. Ma ritengo che gli scritti che suggerisco a fondo pagina siano riusciti già perfettamente in questo intento. Preferisco raccontare la mia esperienza personale con quella che continua erroneamente ad essere chiamata teoria del “gender”, e spiegare perché non posso accettare che si continuino a diffondere notizie tendenziose e grottesche in merito.

Correva l’anno 2004, dovevo ancora mettere piede in suolo statunitense ma sul sito di UCLA (University of California Los Angeles) per la quale avevo vinto una borsa di studio per 3 quadrimestri accademici, già mi pregustavo i corsi che avrei potuto scegliere (negli Stati Uniti, infatti, gli universitari possono programmarsi i corsi come preferiscono).

L’offerta corsi era infinita, ma ero sicura: volevo a tutti i costi iscrivermi ad almeno uno dei corsi dei Gender Studies. Gli studi di genere o gender studies rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. Non si tratta di una disciplina a sé stante, quanto di una particolare chiave di lettura (storia, psicologia, economia, antropologia …) attenta agli aspetti di genere.

Scelsi un corso di stampo storico-antropologico sulle donne dell’Eritrea. Mi sembrava giusto finalmente scoprire qualcosa di più su un paese colonizzato dall’Italia e di cui non avevo sentire dire mai nulla a scuola. Fu il mio primo mid-term, il mio primo final, ed era un saggio breve per giunta! Il mio primo esame a saggio breve negli Stati Uniti, ed era un corso dei “Gender studies”!

Fu un’esperienza accademica e umana davvero bella. Per una volta nella mia vita di studentessa mi era stata mostrata una prospettiva femminile su fatti storici, antropologici ed economici. Non mi pareva vero di vedere finalmente il mondo attraverso un punto di vista diverso.

E quando si riesce a guardare la vita da prospettive nuove, diverse da quelle a cui siamo normalmente abituati, le possibilità che si aprono davanti a noi sono infinite.

La “teoria del gender” del Family Day è l’opposto di tutto questo, è la prospettiva di chi non combatte per i diritti ma li vuole negare agli altri.

I gender studies non sono mai esistiti e non esistono con lo scopo che queste persone continuano a gridare.

Il DDL Fedeli non vuole costringere i maschietti a mettere la gonna in classe, semplicemente chiede che nei libri di testo non vengano proposte solo immagini stereotipate di uomini forti e donne fragili (come nelle pubblicità di prodotti per lattanti).

Le linee guida dell’OMS (tra l’altro pubblicate nel 2013) non vogliono insegnare la masturbazione ai bambini di 2 anni, né portare la pornografia agli adolescenti. Semplicemente prendono atto che la sessualità umana è naturale, non è qualcosa di sporco da reprimere.  La sessualità umana è un continuum che va al di là delle etichette boy/girl dei pannolini e si sviluppa fin dalla nascita. L’OMS chiede agli operatori che hanno a che fare con i ragazzi in crescita di tenere conto di queste esplorazioni, essere pronti ad affrontarle e di fornire alle giovani generazioni informazioni adeguate affinché possano scegliere in coscienza cosa fare con il proprio corpo.

Non ci sto, dunque, a vedere orribilmente storpiati i Gender Studies.

Non ci sto a vedere negato il diritto di vivere il proprio corpo e la propria sessualità con gioia e accettazione.

Non ci sto.

Ed è per questo che la “teoria del gender” non esiste.


Articoli consigliati

# Sulla questione delle linee guida dell’OMS in materia di educazione sessuale, invito a leggere l’articolo scritto dal collega psicologo Sergio Stagnitta, pubblicato sul blog dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, dal titolo:

“EDUCAZIONE SESSUALE NELLE SCUOLE: NO GENDER, NO PARTY”

# Sulla questione del ddl Fedeli, invito a leggere l’articolo del giornalista ed insegnante Ermanno Ferretti, pubblicato sul suo blog personale, e dal titolo:

“Il Family Day e le persone di cui bisogna avere davvero paura”

# In generale, sui programmi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole, invito a leggere l’articolo scritto da Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, dal titolo:

“I presunti pericoli del gender: le parole di Alberto Pellai

# Sulla posizione della comunità scientifica sulla questione, il post del collega psicologo Pier Luigi Gallucci sul suo blog, dal titolo:

L’ideologia gender e l’ortopedia del desiderio”.

# Ed, infine, un articolo con relativa infografica pubblicato sulla versione online di Wired, dal titolo:

“Cosa (non) è la teoria del gender”.

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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