Avete mai provato a cercare la parola “depressione” su Google? Io l’ho fatto proprio ora, e mi sono state restituite più di 7 milioni di pagine. Una piccola prova empirica che possiamo fare tutti e che ci conferma come questo fenomeno sia largamente spiegato e discusso. Malgrado tutte queste pagine internet dedicate al problema, è piuttosto frequente che la parola “depressione” venga utilizzata in maniera errata o sensazionalistica, con attribuzioni di significato che sono spesso lontane dalle narrazioni di persone che soffrono di questo problema. Quando si parla di depressione, infatti, si tende a confondere la diagnosi clinica vera e propria con una attribuzione di significato che siamo abituati a darle nel senso comune, ovvero un periodo in cui ci si può sentire poco attivi, svogliati, un po’ tristi, ma da cui in fondo siamo sicuri di uscirne. Per molte persone a cui è stata fatta una diagnosi clinica di depressione non è così, la depressione non è circoscritta ad un periodo o ad un evento particolare della propria vita, ma è qualcosa costantemente presente.
Niente di più falso. I disagi psicologici in generale, ed in particolare la depressione, non hanno preferenze demografiche o per altre determinate caratteristiche personali. Come diceva Montanelli “la depressione è una malattia democratica“. Lo ha sostenuto recentemente anche il presidente della Società Italiana di Psichiatria in una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano. Inoltre, spesso si ignora il fatto che una persona che soffre di depressione può avere anche problemi di memoria e/o di concentrazione.
Basterebbe parlare con alcune persone che soffrono di depressione per rendersi conto non c’è una ragione specifica che attribuiscono a questo particolare tipo di esperienza. E’ una sensazione pervasiva, totalizzante e che spaventa proprio perché sembra non avere una causa particolare. Inoltre, l’idea della persona depressa come triste e isolata fa parte di uno stereotipo condiviso ma poco vicino all’esperienza delle persone che ne soffrono, un po’ come lo sconsolato ma tenace Ih-Oh, amico di Winnie The Pooh, la cui immagine ho scelto per questo post. Spesso le persone che soffrono di depressione fanno di tutto per apparire felici agli occhi di amici e conoscenti. Altre volte, invece, interagiscono con le altre persone in maniera scostante o rabbiosa.
L’esperienza di depressione non è per niente piacevole, chiunque ne soffra non vorrebbe fare altro che stare bene e vivere spensieratamente. Se davvero la soluzione fosse così semplice e alla portata di tutti, nessuno esiterebbe a coglierla. Ma la depressione, così come l’ansia o gli attacchi di panico di cui abbiamo parlato in un altro post, è l’unico modo che si ha a disposizione per affrontare le difficoltà della vita. Per (ri)trovare la serenità è utile comprendere come il nostro modo di costruire il mondo e le relazioni si è inceppato, e cercare strade alternative per riprendere il nostro percorso di vita. Fare questo da soli è molto difficile. E’ necessario avere il supporto di qualcuno che ci aiuti a vedere modalità alternative per fare fronte alle nostre problematiche, ed è per questo che un aiuto professionale è la strada più utile per ritrovare il benessere. La qualità e la quantità di aiuto professionale necessario non è uguale per tutti, l’importante è affidarsi a professionisti certificati e responsabili.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un video, in collaborazione con lo scrittore e illustratore Matthew Johnstone, in cui si racconta una esperienza di depressione. In questo caso, la depressione è vista come un “cane nero” che condiziona in tutto e per tutto la vita del protagonista del video. Quando finalmente l’uomo decide di cercare l’aiuto di un terapeuta, comincia a comprendere meglio questo “cane nero”, non ne ha più paura, ne parla con i suoi cari. Forse il “cane nero” farà sempre parte della sua vita, ma non la controllerà più.