In psicoterapia si può andarci ad ogni età. Non c’è un limite minimo, né massimo. Ci sono persone che sono felici di condividere con i propri famigliari il loro appuntamento fisso con la psicologa (che sarei io), altri/e che, invece, per diversi motivi preferiscono che resti un affare privato.
Noi psicoterapeuti non siamo investigatori né giudici, non cerchiamo una realtà oggettiva o la relazione cronologica dei fatti, abbiamo, invece, bisogno che sia la persona che si presenta davanti a parlarci nei suoi termini e nei suoi tempi del motivo per il quale ha deciso di varcare la nostra soglia.
Spesso ciò che il/la paziente descrive come “il problema” non è visto allo stesso modo dai suoi famigliari. Viceversa, i famigliari possono vedere come problematico qualcosa che per il/la paziente non lo è. Come terapeuti dobbiamo sempre tenere conto dell’ambiente famigliare in cui una persona vive ma, di fondo, è suo il punto di vista che ci interessa davvero. E’ verso di lui/lei che abbiamo la nostra responsabilità professionale.
Spesso, i genitori di questi/e giovani, che sono stati/e minorenni fino a poco tempo fa, sono abituati a prendere per loro appuntamenti, parlare a loro nome e in generale sono molto impegnati e preoccupati per il proprio figlio o la propria figlia.
Capita, dunque, che siano i genitori a chiamare per prendere appuntamento, che desiderino spiegare quale è il problema del/la figlio/a e magari chiedano anche aggiornamenti sul procedere del percorso. Tutto ciò è umano e comprensibile. Non si smette mai di essere genitori, nemmeno quando lo si è di un cinquantenne, figuriamoci di una persona di 22 anni che sta muovendo i suoi primi passi in un mondo molto incerto.
Quando spiego ai genitori che mi telefonano che ho piacere che sia il/la figlio/a che mi chiami per fissare l’appuntamento, generalmente comprendono. Quando, però, cercano di spiegarmi quello che secondo il loro punto di vista è il motivo che porta il/la giovane sulla mia poltrona, io li fermo, spiegando che preferisco che sia il/la diretto/a interessato/a a scegliere il modo in cui si racconteranno a me, spesso restano basiti, a volte contrariati.
Le persone, di fronte a me, raccontano le cose più dolorose, mettono a nudo parti di sé che non vogliono mostrare a nessun altro, nemmeno alla loro mamma o al loro papà. Riescono a farlo quando comprendono che io non giudico, quando hanno la totale fiducia in me che quello che ci diciamo tra queste quattro mura non lascerà la stanza. Non possono fare tutto questo se la persona che li ha messi al mondo e di cui cercano l’approvazione da quando sono nati è una presenza ingombrante nel mio studio.
Cari genitori, state facendo una cosa molto bella nell’essere di supporto al percorso di psicoterapia dei vostri figli e delle vostre figlie, sia economicamente che emotivamente. State dando loro una opportunità che altre persone non hanno.
Lasciateci allora sfruttare appieno questa opportunità, dateci lo spazio di movimento per cominciare e percorrere questo nuovo cammino verso il benessere.
“I vostri figli non sono figli vostri…
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.”Da “Il Profeta” di Kahlil Gibran