Nella nostra società esistono vari pregiudizi sia sulla salute mentale sia sulle terapie psicologiche. Nel tentativo di avvicinare le persone alla psicoterapia, periodicamente professionistə della salute mentale e advocate e attivistə proclamano che no, dallə psicologə non ci vanno solo i matti, come se la cosa peggiore che potesse capitare ad una persona non fosse la sofferenza psicologica e la difficoltà di accedere a cure adeguate, ma essere consideratə mattə nel farlo.
Matto è chi è “Dominato da impulsi irrazionali, da spunti incontrollati, da manie inconsuete ed eccessive, tali tuttavia da suscitare più spesso ilarità che apprensione, o compatimento piuttosto che avversione; spesso in frasi del linguaggio familiare che denotano disapprovazione ostentata o risentita”. Matto è chi deve essere messo al margine perché altrimenti la sua presenza rischia di mettere in discussione l’intera società.
È innegabile che esista una gerarchia tra malattia mentale socialmente accettabile e non accettabile.
Spesso sono lə professionistə stessə che contribuiscono a creare e mantenere tale gerarchia. Tra i disturbi accettabili, quelli di cui si può parlare, quelli verso cui si può esprimere solidarietà e supporto, ci sono depressione e ansia.
Poi ci sono quelli accettabili solo in determinate condizioni: ad esempio, un disturbo alimentare è accettabile quando abbiamo di fronte una ragazzina scheletrica ed emaciata, ma in una persona grassa no; se un caso è simbolo di sofferenza, l’altro è una dimostrazione di mancanza di controllo e avidità.
Ci sono neurodivergenze, come l’autismo, che vanno bene finché rimaniamo sullo stereotipo del genio introverso e bravo in matematica, ma questa accettazione sparisce nel nulla quando abbiamo persone autistiche meno “utili” in termini capitalistici e produttivi.
E infine abbiamo quelle malattie che vanno evitate come la peste, che finiscono per diventare un marchio sulla persona, un sinonimo di pericolosità, di violenza, di crimine: le persone con disturbo di personalità borderline o narcisistico, le persone schizofreniche, le persone con dipendenza.
Il nome di questa forma di pregiudizio è sanismo (o mentalismo): la discriminazione verso le persone che hanno una diagnosi di disturbo mentale. Alcuni studiosi ritengono che la sua causa sia da ricondurre a un modello medico (che riconduce il disturbo esclusivamente a un “deficit” dell’individuo, senza vedere le interconnessioni con la società e la cultura), da superare attraverso pratiche anti-oppressive, intersezionalità, e un modello sociale della disabilità.
In conclusione: avvicinare sempre più persone alla terapia non deve diventasse l’ennesimo modo per rinforzare il confine tra sofferenza psichica accettabile e inaccettabile, accettare di aver bisogno di un aiuto psicologico non va accompagnato dal sollievo perché “almeno non sono come quelli lì”, tuttə lə utentə di servizi di salute mentale dovrebbero essere trattati con la stessa dignità e lo stesso rispetto.
Contrastare i pregiudizi espliciti sul mondo della salute mentale è importante, ma rischia di diventare poco utile e addirittura pernicioso se non si fanno prima emergere i pregiudizi impliciti e non si fanno profonde riflessioni sulle paure che questi generano. Altrimenti, cercando di contrastare uno stereotipo, inconsapevolmente si finisce per rinforzarne un altro.